Sin dai tempi di Napoleone Bonaparte i francesi hanno deriso gli inglesi, accusando di essere “un popolo di bottegai”. Ma a sentire parlare il loro presidente in visita in Cina, il vero bottegaio da quattro soldi sembrava essere proprio lui. Emmanuel Macron si è recato in pellegrinaggio a Pechino per commiserare pietà sulle forniture di materie prime all’Europa. Solo che c’è modo e modo per giungere a un’intesa. E quello trovato dall’Eliseo è stato imbarazzante, per non dire umiliante.

Ergendosi a un novello Charles de Gaulle del ventunesimo secolo, ha attaccato in casa del nemico niente di meno che gli Stati Uniti per parlare di autonomia strategica del Vecchio Continente, della necessità di non intestarsi le battaglie di Washington come sulla difesa militare di Taiwan contro un’eventuale aggressione della Cina. E’ arrivato a minacciare il ruolo “extra-territoriale” del dollaro, che è un modo gergale per dire che l’Europa non dovrebbe più seguire le sanzioni americane quando queste sono comminate per ragioni che esulano dai suoi interessi geopolitici ed economici.

Stati Uniti oasi di ricchezza per Europa

E se l’amministrazione Biden un anno fa avesse pensato le stesse cose sull’Ucraina e avesse lasciato noi pacifisti europei a vedercela da soli con l’orso russo a Kiev? Chissà se nel frattempo avremmo dovuto imbracciare le armi, alzandoci dai comodi divani su cui dissertiamo di pace e amore da decenni, per andare a difendere l’integrità territoriale del continente contro aggressioni multiple di Mosca. Fatto sta che Macron ha ostentato un’ipocrisia che capita raramente di toccare con mano a così alti livelli.

Gli interessi economici degli Stati Uniti non coincideranno necessariamente con quelli europei, ma resta il fatto che siano i nostri migliori clienti. Nel 2022 abbiamo venduto agli americani merci per 509,3 miliardi di euro, ai cinesi per appena 230,3 miliardi.

La nostra bilancia commerciale è stata in attivo con i primi per 150,9 miliardi, in forte passivo con i secondi per la cifra di 395,7 miliardi. In altre parole, Pechino rosicchia una quota enorme della ricchezza europea, mentre gli americani ci creano ricchezza. Gli Stati Uniti sono i migliori clienti dell’Unione Europea e della Cina. Il resto sono chiacchiere.

Macron indebolisce asse franco-tedesco

Fidatevi, Washington non ha preso bene le parole di Macron. Il governo americano fingerà di non aver sentito, non commenterà, ma passerà alle azioni. Avete presente l’IRA, il piano di Joe Biden per rendere gli Stati Uniti più autonomi da Cina e resto del mondo in tema di produzioni sensibili? Fino a pochi giorni fa, c’era almeno la possibilità di giungere a un accordo con Bruxelles per evitare una concorrenza tra alleati. Dopo l’uscita di Macron, gli americani faranno senza più alcun dubbio ciò che converrà loro, infischiandosene di noi e dei nostri patetici guai. E questo significherà solo una cosa: l’Europa perderà pezzi di industria, attirati dai maxi-incentivi americani. Dalle auto elettriche al fotovoltaico, saremo ancora più dipendenti dalle importazioni dal resto del mondo.

Se c’è un risvolto positivo, per noi italiani, è che alla Casa Bianca inizieranno a capire che coccolare troppo l’asse franco-tedesco non ha senso sul piano geopolitico. Berlino e Parigi sono sempre stati e sempre resteranno bottegai, privi di visione a lungo termine e concentrati nel raccattare ciò che il convento passa nell’immediato. Gli Stati Uniti saranno più attenti alle istanze di Nord ed Est Europa, filo-americani per ragioni di sicurezza. L’Italia potrà far valere le sue ragioni nel Mediterraneo, ad iniziare dalla scellerata scelta europea di non gestire il fenomeno migratorio dall’Africa.

Germania irritata da posizione francese

Un’altra conseguenza dello sproloquio anti-americano di Macron sarà che Washington si rompa definitivamente le scatole di garantirci la sicurezza gratuitamente e pretenda senza più rinvii che le spese militari di tutti i membri della NATO salgano al 2% del PIL.

E questo si tradurrà per l’Unione Europea nella necessità di concedere un po’ di flessibilità fiscale agli stati comunitari, al fine di aumentare il proprio impegno senza impopolari tagli alla spesa sociale o aumenti delle entrate. Questo significherebbe sottrarre risorse ad altri capitoli, come gli investimenti a favore della transizione ecologica. A meno di voler smantellare del tutto le politiche di austerità – e Berlino non sembra incline – sarà un problema conciliare tutte queste istanze.

Non è casuale che neppure Berlino non abbia apprezzato le dichiarazioni di Macron. Il governo Scholz ne teme le ripercussioni in termini di “raffreddamento” delle relazioni diplomatiche ed economiche con Oltreoceano. Teme anche che l’Unione Europea divenga ingestibile tra opposte visioni e necessità. I tedeschi sono notoriamente mediatori degli interessi di nord- ed est-europei. Il loro ruolo sarà più difficile mantenendo integro l’asse con i francesi, il quale risulta indispensabile per gestire Bruxelles. Tra l’altro, Macron è un leader con un brillante futuro alle spalle. In patria è impopolarissimo e all’estero forse lo è persino di più. Arriva a scadenza nel lontano 2027, ma non è con sortite ruffiane filo-cinesi che guiderà l’Europa verso “magnifiche sorti e progressive”.

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