Il peso cubano è una delle valute che quest’anno si è svalutata di più contro il dollaro americano. Ad agosto, il regime castrista retto dal presidente Miguel Diaz-Canel ha istituito un tasso di cambio “di mercato”, permettendo ai cubani di scambiare fino a 100 dollari per operazione contro valuta locale. Alla piattaforma possono accedere anche i turisti stranieri. La mossa si è tradotta nella seconda maxi-svalutazione in poco più di un anno e mezzo. Infatti, rispetto al precedente cambio ufficiale di 1 dollaro contro 24 pesos, il cambio è stato elevato a 1:120.

Ieri, di pesos per acquistare un dollaro su Cadeca – questo il nome della piattaforma governativa – ne servivano 125. Ma al mercato nero si è arrivati a oltre 200 pesos per 1 dollaro. Ieri, il rapporto risultava di 1:180.

In altre parole, le due maxi-svalutazioni in pochi mesi non sono risultate sufficienti per arrestare la debolezza del peso cubano. All’inizio del 2021, la riforma monetaria del regime puntava a vivacizzare l’economia dell’isola grazie a un sistema di cambio più efficiente. Fu eliminato il CUC o peso cubano convertibile, che era scambiato contro il dollaro a un tasso di 1:1. Rimaneva in circolazione solo il CUP a un tasso di 1:24. Di fatto, una svalutazione del 96%. Ad agosto, la nuova batosta con il -80%.

Inflazione alle stelle, cambio al collasso

Il problema è che queste riforme non hanno affatto migliorato le condizioni di vita dei cubani. Al contrario, esse sono peggiorate, con l’inflazione sull’isola esplosa fino all’apice del 77% a fine 2021, salvo rientrare al 37% di settembre. Tuttavia, analisi indipendenti valutano l’inflazione nel 2021 al 500%. Cosa non ha funzionato? La svalutazione del cambio è avvenuta senza una contestuale liberalizzazione dell’economia domestica, rimasta ancorata ai principi del socialismo. Dunque, la produzione interna ristagna, aumentano le importazioni e un cambio più debole si traduce semplicemente in un aumento dei prezzi al consumo.

Secondo i dati ufficiali, ancora oggi la produzione interna equivale al 55% dei livelli del 1989.

E tra il 2011 e il 2021 le esportazioni di beni sono crollate dei due terzi a meno di 2 miliardi di dollari. Le esportazioni di servizi, incluso il turismo, sono risultate quasi dimezzate da 11,5 a 6 miliardi. A ciò si aggiunge un crollo della produzione di zucchero, principale risorsa esportata dal paese. Nella stagione in corso, il raccolto è stimato in sole 431.000 tonnellate contro un obiettivo dell’anno precedente di 1,2 milioni di tonnellate.

Lo scarso afflusso di valuta estera, complice il crollo dei turisti con la pandemia, ha tenuto basse le importazioni e al contempo ha fatto esplodere l’inflazione, generando anche una carenza diffusa di beni e servizi. Manca di tutto sull’isola e i provvedimenti del governo non stanno aiutando di certo a migliorare le condizioni di salute dell’economia. Mentre i prezzi esplodevano, salari e pensioni venivano aumentati fino al 500%. E il deficit fiscale nel 2021 era dell’11,7%, finanziato chiaramente stampando moneta.

Crisi a Cuba simile al Venezuela

L’eccesso di liquidità in circolazione ha a sua volta generato aspettative d’inflazione ancora più alte per il futuro. Molti cubani da mesi cercano di fuggire verso gli USA, magari recandosi prima in un qualche stato dell’America Latina. Chi possiede proprietà, le vende per cercare di racimolare la cifra necessaria per rifarsi un futuro all’estero. Di conseguenza, i prezzi di queste proprietà stanno collassando.

Il solo fatto che il cambio vigente al mercato nero sia del 50% più debole di quello ufficiale frustra i cubani, i quali stanno perdendo fiducia nella capacità del governo di mantenere la stabilità dei prezzi e della valuta. Stanno attecchendo di fatto le condizioni sufficienti per l’iperinflazione, anche se la speranza di L’Avana è che la riapertura dei flussi turistici attutisca almeno in parte la carenza di dollari in entrata nel paese.

Ma il turismo da solo non può reggere il peso di un’intera economia, dove la produzione stenta a riprendersi per via delle notevoli restrizioni ancora esistenti alla libertà d’impresa. Quella di agosto rischia di non essere l’ultima svalutazione del cambio. Le similitudini con il Venezuela “chavista” stanno diventando sempre più evidenti e preoccupanti.

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