Tutti gli occhi erano puntati su Roma per la vittoria di Giorgia Meloni alle elezioni politiche di domenica scorsa, mentre i trader avevano il pollice (verso) su Londra. Mentre le reti televisive internazionali commentavano a caldo i dati usciti dai seggi italiani, la sterlina crollava ai nuovi minimi storici, perdendo ben 500 pips, cioè precipitando da un tasso di cambio di circa 1,0850 contro il dollaro a 1,0350. Non era mai stata così bassa. In gergo, si chiama “flash crash” e, in alcuni casi, è legato a quello che gli analisti definiscono la sindrome delle dita pesanti o “fat fingers”.

Nello specifico, volumi di vendita elevati in una fascia oraria caratterizzata da bassi volumi di scambio – eravamo verso l’1 di notte – hanno provocato il crollo verticale della valuta di Sua Maestà.

Perché crolla la sterlina

Ma perché tanto astio verso la sterlina? Diciamo che ad essere molto forte in questa fase è il dollaro, che ha aggiornato a sua volta i suoi massimi storici. Quest’anno, guadagna in media il 18% contro le principali valute. A lasciarci le penne è anche l’euro, che ieri è arrivato a scambiare fino a un minimo di 0,9569, mai così male dal 2002.

Tuttavia, la crisi della sterlina ha qualche specificità casalinga. La scorsa settimana, il nuovo cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, nominato dalla neo-premier Liz Truss, ha presentato un piano fiscale robustamente espansivo. Prevede tagli alle tasse e mancati aumenti delle tasse già decisi dal precedente governo a guida Boris Johnson per 45 miliardi di sterline entro il 2026/2027. Si tratta del più grande taglio delle tasse in deficit in cinquanta anni. Nei giorni precedenti, Truss aveva presentato un maxi-piano contro il caro bollette da 130 miliardi per i prossimi mesi. Anche in questo caso, tutto in deficit.

Prudenza fiscale per Governo Meloni

I mercati si chiedono se tale politica sia sostenibile. Per questo chiedono rendimenti sempre più alti sui Gilt e fuggono dalla sterlina, che nel frattempo paga un’inflazione a cavallo del 10%.

La Banca d’Inghilterra ha alzato i tassi d’interesse al 2,25%, ma a questo punto non possiamo escludere un board d’emergenza per difendere il cambio. La scorsa settimana, la Banca del Giappone dovette intervenire sul mercato forex per la prima volta dal 1998 a sostegno dello yen.

La sterlina ai minimi storici serve da monito per il governo Meloni che sarà. Nessuno a Roma si faccia venire in testa di tagliare le tasse in deficit, perché i mercati non la prenderebbero per niente bene. A maggior ragione che, rispetto al Regno Unito, abbiamo un’economia ferma da decenni e siamo iper-indebitati. Poco prima delle elezioni, Giorgia Meloni si disse non convinta della bontà del rialzo dei tassi BCE deciso al board dell’8 settembre scorso. Ma con un’inflazione così alta, le converrà che Francoforte si dia da fare per riacciuffare la stabilità dei prezzi. In alternativa, il collasso dell’euro segnala già la fuga dei capitali dall’Eurozona, che tutto farebbe, tranne che bene all’Italia.

[email protected]