E’ stato un venerdì nero per le borse europee e, soprattutto, per le banche lo scorso 24 marzo. Ad annegare i listini è stato il crollo delle azioni Deutsche Bank fino al 15%. Questo è stato provocato dal rialzo repentino dei CDS a 5 anni, titoli che assicurano contro il rischio default. In una sola seduta, sono passati da 132 a 173 punti base. E’ stato il segno che qualcuno sul mercato teme che la banca tedesca possa andare a gambe per aria. Già negli anni passati è stata al centro di forti tensioni finanziarie, tanto che si rese necessaria prima della pandemia la riorganizzazione sotto nuovi vertici.

Il punto è che da dieci trimestri consecutivi Deutsche Bank chiude i bilanci in attivo e nel 2022 ha riportato un utile netto di 5,7 miliardi di euro, dato massimo dal 2007. Come si spiega la sfiducia della finanza verso un istituto apparentemente risanato e profittevole?

Finanza contrariata da posizione tedesca sui tassi

Con la riapertura dei mercati di oggi dopo la pausa nel fine settimana, probabilmente ne sapremo di più. A meno che qualche grossa casa d’investimento abbia appreso qualche magagna contabile ignota al resto del mercato, dobbiamo ammettere che queste vendite delle azioni Deutsche Bank appaiano per il momento poco giustificabili. E se dietro vi fosse un attacco mirato orchestrato dal mondo della finanza per inviare un messaggio in codice alla Germania?

Fino a venerdì scorso, cioè a crollo di Deutsche Bank iniziato, il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, si spendeva pubblicamente per continuare ad alzare i tassi d’interesse. Il giorno prima era uscita una sua dichiarazione che invitava il resto del board della Banca Centrale Europea (BCE) ad essere più “testardo” dell’inflazione. Giovedì 16 marzo, contrariamente a gran parte delle previsioni, la BCE aumentava i tassi d’interesse dello 0,50%. Pur non essendosi legata le mani sulle prossime mosse, è noto che la maggioranza del board sia favorevole a proseguire la stretta monetaria.

E la finanza non apprezza, perché dopo anni di tassi a zero e liquidità a fiumi, come dimostrano i crac bancari americani, il rischio è che il valore degli asset in portafoglio sprofondino al punto da trasformarsi in perdite reali e infliggere un colpo durissimo ai bilanci di banche, assicurazioni e fondi d’investimento.

Deutsche Bank mette BCE con spalle al muro?

E chi guida i “falchi” del board BCE? La Bundesbank, alias la Germania. L’inflazione sta rallentando la discesa nell’Area Euro, mentre l’economia si rivela più resiliente delle attese a crisi energetica e rialzo dei tassi. Tutti aspetti a favore di una prosecuzione della stretta. Ma se scoppiasse qualche banca tedesca, la voglia di continuare a restringere le condizioni monetarie passerebbe con ogni probabilità alla Germania. Prendere di mira Deutsche Bank potrebbe equivalere a far recapitare al governo di Berlino e alla Bundesbank un “pizzino” nel quale sta scritto: “Hör auf mit der Zinsenerhöhung” (Basta con il rialzo dei tassi).

Suggestioni? Probabile. Ma già nella sola giornata di venerdì le probabilità di un aumento dei tassi BCE a maggio dello 0,25% sono crollate. E già per luglio il mercato si aspetta che la Federal Reserve tagli i tassi di mezzo punto percentuale al 4,50%. Questo è l’effetto dell’ennesimo odore del sangue per una banca occidentale. Soprattutto, perché stavolta arriva nel cuore dell’Europa, in quella Germania altrimenti inflessibile nel mantenere la propria posizione così impopolare nel mondo della finanza. Chissà se qualcuno non avrà scommesso qualche spicciolo sul mercato dei CDS con cui alimentare una paura che gli frutterà ben più dell’esborso. Per capire quale aria tiri, basterà monitorare le voci in uscita da Francoforte tra interviste, convegni, dichiarazioni e post sui social dei componenti del board.

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