Quest’anno, il Portogallo chiuderà il bilancio con un deficit pubblico allo 0,2%, in calo dallo 0,5% del 2018, il livello più basso dal ritorno alla democrazia nel 1974. E per l’anno prossimo, il ministro delle Finanze, Mario Centeno, anche presidente dell’Eurogruppo, stima un avanzo dello 0,3%, destinato a salire allo 0,9% nel 2021 e ad assestarsi allo 0,7% nei due anni successivi. Quanto alla crescita economica, rivista leggermente al ribasso dal +2,1% all’1,9% quest’anno, un ritmo che resta desiderabile in quasi tutto il resto dell’Eurozona.

Eppure, il governo socialista di Antonio Costa ha rischiato di cadere con qualche mese di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura di quest’autunno, quando due partiti delle opposizioni si sono mostrati favorevoli ad appoggiare una proposta di legge degli alleati di sinistra del premier al governo, la quale prevedeva l’aumento degli stipendi per gli insegnanti.

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Secondo Centeno, considerando anche la retroattività della proposta, essa avrebbe pesato sui conti pubblici fino a 800 milioni di euro, quasi lo 0,4% del pil. Inaccettabile per Costa, che ha messo le mani avanti, sostenendo che l’opposizione di centro-destra vorrebbe oggi mettere in discussione l’ordine fiscale raggiunto da Lisbona, quando è stata negli anni al governo la responsabile dell’austerità che adesso vorrebbe smontare, minacciando i conti pubblici. Il premier ha anche avvertito che si sarebbe dimesso nel caso in cui la proposta fosse passata in Parlamento, dove il suo governo non gode della maggioranza assoluta dei seggi, eppure sta riuscendo a completare il mandato di 4 anni, cosa accaduta dal ’74 ad oggi soltanto una volta a un esecutivo di minoranza.

Il modello Portogallo non si deve a Costa

Le opposizioni, che puntano a mostrarsi fiscalmente responsabili, hanno fatto un passo indietro e i loro leader hanno dichiarato che avrebbero appoggiato l’aumento degli stipendi per gli insegnanti solo a patto che fosse stata garantita la stabilità finanziaria.

Un autogol, che favorirebbe ulteriormente il già popolare governo Costa, quando mancano meno di tre settimane alle elezioni europee e il Partito Socialista guida i sondaggi con 10-12 punti percentuali di vantaggio rispetto al diretto avversario, il Partito Social-Democratico, che a dispetto del nome è una formazione conservatrice.

Il Portogallo viene guardato oggi come modello politico per la stabilità garantita dai governi dal 2011, anno in cui ha necessitato di un salvataggio internazionale per 76 miliardi di euro. E ciò è avvenuto in assenza di pulsioni populiste concrete da una parte e dall’altra. In più, sta riuscendo ad abbattere anno dopo anno l’enorme rapporto debito/pil, il terzo più alto nell’Eurozona dopo Grecia e Italia e al 121,5% nel 2018. A riconoscimento degli sforzi compiuti, lo scorso anno Centeno è stato nominato alla guida dell’Eurogruppo, pur essendo espressione di una sinistra formalmente contraria alle politiche di austerità.

In giro per l’Europa è tutto un “guardate al Portogallo”, “seguite l’esempio del Portogallo” e “austerità e consenso sono compatibili, come dimostra il Portogallo”. E, in effetti, i rendimenti sovrani lusitani sono nettamente più bassi di quelli italiani, con il decennale poco sopra l’1,10% contro il nostro 2,5-2,60%. Dimenticano questi improvvisati cultori di storia portoghese, che Costa non sia stato affatto l’artefice dell’austerità fiscale, bensì il suo predecessore Pedro Passos-Coelho, che nell’ottobre del 2015 perse per un soffio le elezioni dopo 4 anni trascorsi a risanare i conti pubblici con misure anche molto impopolari, come il taglio di stipendi pubblici e pensioni.

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L’austerità prima di Costa

Cosa fece Costa, appena insediatosi al governo? Ha gradualmente aumentato il salario minimo da 505 agli attuali 600 euro mensili, al contempo abbassando l’età pensionabile per i dipendenti pubblici e ripristinando 4 giornate festive, che il governo di centro-destra aveva cancellato dal calendario, un po’ come fece negli anni Settanta l’allora premier italiano Giulio Andreotti.

Nonostante i dubbi sull’impatto negativo che ciò avrebbe avuto sull’economia, la disoccupazione si è dimezzata, scendendo al 6,7% odierno, con il mercato del lavoro trainato dal boom del turismo.

Come mai l’Europa è rimasta a guardare dinnanzi allo smantellamento, pur parziale, delle riforme? Serviva un modello politico da contrapporre al “populismo euro-scettico” e Costa, sostenuto da formazioni tutte di sinistra, è arrivato al momento giusto, mesi dopo l’odissea in Grecia di Alexis Tsipras. Il silenzio di Bruxelles ha pagato, perché i mercati hanno colto la piena sintonia tra Lisbona e commissari e, complice una ripresa preparata già da Passos-Coelho, sono tornati a guardare con molta fiducia ai bond governativi, facendone crollare i rendimenti quasi ai livelli spagnoli. E l’Italia, spesso per meno, è costantemente nell’occhio del ciclone. Due pesi e due misure. Ricordatevene la prossima volta che sentirete parlare di “miracolo portoghese”.

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