Gli scenari sul futuro alimentare dell’umanità solitamente si dividono in due tipologie differenti di immaginari: il primo richiama la necessità di nutrirsi di insetti e altre forme viventi ‘poco appetibili’, almeno nell’immediato, mentre il secondo è la tecnologizzazione assoluta dell’alimentazione – un po’ come nel futuro di 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick, dove gli astronauti si cibano soltanto di cremine e gelatine davvero poco appetitose. Ebbene, il libro del professore Carlo Alberto Pratesi si intitola Il cibo perfetto. Aziende consumatori e impatto ambientale del cibo e stupisce perché propone un nuovo paradigma e soprattutto annuncia che tra vent’anni è probabile che mangeremo meglio e non peggio di oggi.

Ottimismo o analisi circostanziata?

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Perché tradizione e modernità non sono in contrasto nell’azienda agroalimentare

La prima riflessione importante che troviamo all’interno del libro riguarda il rapporto tra modernità e alimentazione: molto spesso, sottolinea il professore, si è ritenuto che la ricerca della naturalità, del chilometro zero e del cosiddetto ‘biologico’ fossero in contraddizione con lo sviluppo economico e tecnologico della nostra contemporaneità. Si tratterebbe di una visione del tutto errata e non perché si parla di un ritorno utopistico a uno stato di natura, mai essenzialmente esistito, ma perché la tecnologia può essere di grande aiuto per riscoprire la tradizione e migliorare la produzione (non necessariamente la produttività – due concetti diversissimi). Ma come può avvenire questa fusione tra Arcadia e post-modernità: semplice, da un lato rispettando i cicli naturali, le rotazioni dei campi, la biodiversità, il basso utilizzo della chimica, la preferenza per i fertilizzanti di origine naturale, dall’altro facendolo grazie alla tecnologia.

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Il contadino del futuro dovrà utilizzare l’iPad, condividere le proprie informazioni con gli altri agricoltori, studiare le fasi del clima e scoprire così quando è meglio piantare o irrigare.

Ma poi la tecnologia può aiutare con sensori che studiano la composizione del terreno o mediante l’utilizzazione di droni e satelliti per cercare di effettuare le previsioni più avanzate è possibile.

Cosa mangeremo, allora, fra vent’anni?

Il professore si dice certo soprattutto di una cosa: fra vent’anni – insomma nel prossimo futuro – mangeremo molto meglio di adesso. La prima motivazione è connessa all’informazione: oggi più di ieri sappiamo quali cibi e quali sostanze (chimiche) fanno più male e sempre più persone cercano di evitarle. La seconda è ancora una volta connessa alla tecnologia: quest’ultima aiuterà a selezionare, in maniera efficace, i prodotti migliori e a restituire il sapore ai cibi (il pomodoro è il caso più eclatante: chiunque abbia una certa età, sa bene che vent’anni fa avevano un altro sapore – anzi: avevano sapore, oggi no).

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E poi la tipologia dei cibi: fra vent’anni si mangerà sicuramente meno carne, la cui filiera è quella più dannosa e nociva per l’ambiente; ma anche, secondo il professore, meno dolci e meno prodotti industriali. Si preferirà sempre di più la frutta e la verdura e una consapevolezza maggiore permetterà anche di essere meno soggetti a malattie connesse ad abusi di cibo. Il libro si chiude, però, con un altro tipo di riflessione: gli uomini dovranno affrontare quanto prima il problema del boom demografico; il pianeta è un sistema chiuso e non potrà reggere – soprattutto dal punto di vista della produzione alimentare – una crescita di tipo esponenziale, com’è stata negli ultimi decenni.