Sul rischio Brexit è speculazione rialzista sulla corona danese La corona danese è nuovamente nel mirino degli speculatori e la banca centrale potrebbe decidere di intervenire molto presto per impedire un ulteriore apprezzamento contro l’euro, dopo che ha già guadagnato quest’anno il 3,5%, portandosi a un cambio di 7,4365. Sin dalla nascita della moneta unica, la Danimarca ha fissato un “peg” pari a 7,46038, rispetto al quale sono consentite oscillazioni teoriche del 2,25% in alto e in basso, ma che nei fatti non dovrebbero superare l’1%.

La fissazione della parità è avvenuta tramite un accordo bilaterale con la BCE ed è erede di quella attuata sin dal 1982 con il marco tedesco. La valuta di Copenaghen è considerata un porto sicuro per gli investimenti ed attira, quindi, i capitali stranieri nella fasi di incertezza o di crisi internazionale. Lo scorso anno, mai come prima si era arrivati vicini all’abbandono del “peg”, quando la SNB, la banca centrale svizzera, annunciò la fine del cambio minimo con l’euro, spingendo gli investitori a speculare su un destino simile per la corona danese.

Tassi Danimarca restano negativi

E’ accaduto, invece, che il governatore Lars Rohde ha vinto la sua battaglia contro la speculazione, anche se al costo di dovere varare una politica monetaria ultra-espansiva e senza precedenti nel paese, portando i tassi al -0,75%. La sua banca centrale era stata la prima nel 2013 ad avere introdotto i tassi negativi. Nel gennaio di quest’anno, sono stati alzati di 10 punti base al -0,65%, anche se la scorsa settimana Rohde ha avvertito il mercato che il livello minimo non è stato toccato, paventando nuovi interventi per indebolire il cambio. Rispetto allo scorso anno, l’ondata rialzista sulla corona sembra meno forte. Le riserve valutarie sono più basse del 45% del picco di 737 miliardi di corone, mentre il cambio attuale è vicinissimo ai massimi storici contro l’euro, che furono toccati proprio il giorno dell’annuncio della SNB a un tasso di 7,4346.

Un anno fa, il Fondo Monetario Internazionale lodò Rohde per avere incrementato la credibilità dell’istituto con una difesa senza tentennamenti della parità.      

Rendimenti bond Danimarca bassissimi

I rendimenti sovrani restano negativi fino alla scadenza dei 5 anni, ma anche in questo caso i record di inizio 2015 non sono stati toccati di nuovo. I decennali rendono oggi lo 0,48%, ma erano sprofondati allo 0,15% nel febbraio dello scorso anno, anche se nel 2016 sono già scesi di 46 punti base. Quelli a due anni rendono il -0,325%, in calo di 20 bp da inizio anno, ma di circa 55-56 bp più alti dei minimi record di 15 mesi fa. Ma cosa sta spingendo gli investitori a ripararsi nella corona danese? Il rischio Brexit. C’è trepidazione per l’esito del referendum del 23 giugno, quando i sudditi di Sua Maestà saranno chiamati a scegliere se restare nella UE o se divorziare da Bruxelles. I sondaggi darebbero nettamente in testa lo scenario di una permanenza nelle istituzioni comunitarie, ma poiché il dubbio di un evento imprevedibile resta, chi può cerca di mettere in salvo i propri capitali in assets sicuri.

Franco svizzero non più molto appetibile

In genere, questo ruolo di bene-rifugio è assolto dal franco svizzero in maniera più pregnante, ma il rafforzamento dell’ultimo anno e mezzo e la discesa dei rendimenti sovrani in territorio negativo fino alla scadenza dei 15 anni (un trentennale rende appena lo 0,20%) riflettono un cambio già elevato e prezzi dei bond stratosferici, per cui la Svizzera non è molto appetibile per chi vi deve portare i suoi capitali oggi. Rohde ha già avvertito nel corso del 2015, che scommettere contro la banca centrale di Copenaghen equivale a perdere, anche perché a differenza della collega elvetica, che aveva fissato un “peg” unilateralmente, qui vi è un accordo con la BCE risalente al 2000 per mantenere la stabilità del cambio.

E a differenza della politica di Berna, divisa sul punto, il Parlamento danese è unanime nel riconoscere la priorità della difesa del “peg”, considerando che il 75% delle esportazioni si hanno verso l’Eurozona.      

Nuovi interventi possibili con Brexit

E’ probabile che la banca centrale non sia costretta ad intervenire con un nuovo taglio dei tassi, né a varare nuovi stimoli monetari. Questi ultimi, in forma di acquisti di titoli di stato, avrebbero l’effetto controproducente di farne salire i prezzi, ma spingendo gli investitori stranieri a puntare su questi assets, rafforzando di conseguenza la corona, esattamente l’opposto di quanto perseguito dall’istituto. Certo è, però, che se l’esito del referendum nel Regno Unito fosse negativo per l’Europa, si scatenerebbero tensioni finanziarie tali, che a Copenaghen dovrebbero imbracciare i fucili per tenere i capitali fuori dalla porta.