Silicon Valley Bank godeva di ottima reputazione mercoledì 8 marzo. Venerdì 10, veniva chiusa dalle autorità californiane. In due giorni, una banca regionale americana tra le più in voga passa dal paradiso all’inferno ed è costretta a chiudere battenti. Accadeva, infatti, che 42 miliardi di dollari di depositi su 173 venivano ritirati nel giro di 48 ore. Un tamtam su Twitter, che piega l’istituto. All’origine del crac vi era stata la notizia riportata dalla stessa SVB per cui aveva venduto (a Goldman Sachs) un portafoglio obbligazionario di quasi 21,5 miliardi, perdendovi 1,8 miliardi.

A quel punto, tutti ad interrogarsi sulla congruità degli attivi. Il sospetto che fosse solo la punta dell’iceberg scatena la fuga dei clienti. Non piccoli risparmiatori, bensì perlopiù società attive nel comparto delle criptovalute e che temono di perdere preziosa liquidità con cui continuare ad operare.

Crac bancari possibili in Italia?

Il caso SVB ha acceso i fari sulle modalità con cui una banca può fallire in fretta e furia. Può ripetersi qualcosa di simile anche in Italia? Quando parliamo di banche, dobbiamo distinguere tra stato di illiquidità e insolvenza. Una banca prende i risparmi dei clienti e li investe prestandoli alle imprese e alle famiglie. Questa è la sua attività caratteristica. Essa tiene liquida una parte dei depositi, al fine di provvedere alle esigenze quotidiane. Ad esempio, se calcola che in media ogni giorno si presentino in filiale tot clienti per prelevare l’1% della massa dei depositi, deciderà di detenere almeno quella percentuale media quotidiana.

Può accadere, però, che sulla base di chiacchiericcio, voci anche solo infondate o a seguito di qualche cattiva notizia specifica, il numero dei clienti che chiede di ottenere indietro i propri risparmi salga decisamente. Non più l’1%, bensì il 5-6-10% dei depositi è oggetto di prelievi. La banca potrebbe non avere sul momento tutto il denaro che le viene richiesto.

Lo ha prestato e investito in attività finanziarie. La dismissione non è sempre prontamente possibile. A quel punto, potrà richiedere liquidità alle altre banche o rivolgersi direttamente alla banca centrale. Ma se per una qualche ragione non ottenesse le somme sufficienti a soddisfare la clientela, ecco che sorgono guai seri.

Banca vittima del panico irrazionale

Il primo cliente che non riceverà subito i soldi richiesti, uscirà dalla filiale allarmando gli altri risparmiatori. Si scatena il panico. “La banca non ci ridà i soldi”. Diventa perfettamente razionale la corsa agli sportelli per prelevare tutti i risparmi. Se non lo farai tu, lo faranno gli altri. E se ciò accadrà, la banca rimarrà realmente senza liquidità e non tu otterrai più il tuo denaro. Una crisi di liquidità si trasforma in uno stato di insolvenza: la banca non può soddisfare tutte le richieste e chiude battenti.

Nell’anno di grazia 2023, le cose vanno un po’ diversamente da come le abbiamo descritte. La tecnologia consente ai risparmiatori di spostare denaro dal proprio telefonino senza correre fisicamente in filiale. Ma il panico corre in rete attraverso i social, che amplificano spesso senza alcun controllo gli umori della strada. Esistono, però, meccanismi per arrestare il panico sin dall’inizio, come la garanzia sui depositi. In Italia, riguarda tutti i conti fino a 100.000 euro. Ma va detto che tale garanzia funziona se c’è fiducia. Sappiamo che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi non disporrebbe di tutta la liquidità necessaria a salvare i risparmi garantiti. E la corsa agli sportelli, fisici o virtuali che siano, si ha sempre quando viene meno la fiducia.

Quindi una banca può fallire in poche ore o qualche giorno al massimo anche in Italia? Teoricamente, sì. I meccanismi alla base di un crac sono gli stessi in ogni luogo e in ogni tempo.

Ma le banche italiane risultano essere mediamente più solide di moltissime altre realtà europee e americane. La sicurezza del risparmio in Italia è stata da sempre considerata una cosa seria, oltre che essere oggetto di tutela costituzionale. E ciò vale al netto di tutte le schifezze accadute anche nel nostro Paese negli ultimi anni, spesso il frutto di un modo esterofilo di intendere il business bancario.

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