Il presidente Nicolas Maduro ha emanato ieri un decreto, con il quale ha prorogato fino al 2 gennaio prossimo il termine per scambiare le banconote da 100 bolivar con altri tagli, compresi quelli di nuova emissione, dopo che la profonda crisi di liquidità nei giorni scorsi ha provocato vivaci proteste e scontri con la polizia, tanto che sono stati arrestati 32 manifestanti e la stampa riporta anche di un ragazzino di 14 anni, colpito a El Callo da un proiettile degli agenti.

Migliaia di venezuelani si sono riversati nelle strade e hanno bruciato le banconote da 100 bolivar, che se al cambio ufficiale varrebbero ancora 10 dollari, di fatto si aggirano sui 2-4 centesimi di dollari al mercato nero.

Rappresentando il 48% del cash circolante, il loro ritiro, che si sarebbe dovuto completare entro il giovedì scorso, ha provocato una gravissima carenza di denaro contante, problema sommatosi alla già intollerabile mancanza di ogni tipo di bene dagli scaffali dei negozi, che sta rendendo impossibile e al limite della sopravvivenza fisica le vite di 30 milioni di abitanti. (Leggi anche: Venezuela, liquidità crollata)

Produzione di petrolio il calo nel Venezuela

E per fortuna, che nel mese di novembre sono aumentate almeno le esportazioni di petrolio dal Venezuela verso gli USA, salite del 23% rispetto a ottobre a 742.500 barili al giorno, anche se in calo su base annua del 10%. Nei primi nove mesi del 2016, la produzione media giornaliera del paese sudamericano è diminuita dell’11% a 2,2 milioni di barili e Caracas si è impegnata a tagliarla di 95.000 barili al giorno, a seguito dell’accordo OPEC.

Tuttavia, le stime di HFI Research hanno trovato che a novembre il petrolio venezuelano estratto dai pozzi sarebbe stato di appena 1,9 milioni di barili al giorno e che scivolerà a 1,5 milioni entro la prima metà del 2017. Un duro colpo alle speranze del governo Maduro di approfittare del rialzo delle quotazioni del greggio sui mercati internazionali per incassare più dollari con i quali importare beni e servizi dall’estero.

(Leggi anche: Crisi Venezuela, perché nemmeno la risalita del petrolio salverebbe l’economia)

Dollari inesistenti, mancheranno anche nel 2017

A meno di un’improbabile esplosione dei prezzi energetici, infatti, il calo della produzione atteso, frutto dei bassi regimi di investimento nel paese, potrebbero provocare non un aumento, bensì un’ulteriore riduzione delle riserve valutarie, già scese a 11 miliardi di dollari, un livello dimezzato rispetto a quello di inizio 2015 e ai minimi dal 2003.

La carenza di dollari potrebbe spingere il governo a svalutare il bolivar al cambio ufficiale, che già quest’anno è passato da 6,3 a 10, anche se lontanissimo dai suoi tassi effettivi, che al mercato nero sono arrivati a 4.600 a dicembre, salvo ripiegare ai 2.500 attuali, ma solo per l’assenza di cash con cui comprare valuta americana. (Leggi anche: Crisi Venezuela, Caracas senza dollari)