Mercato delle criptovalute in fibrillazione dopo la bancarotta di FTX. La seconda piattaforma exchange del settore più grande al mondo ha fatto richiesta di adesione al Chapter 11 la scorsa settimana. Di fatto, la volontà di sottoporsi alla legge fallimentare americana. L’ex CEO, Sam Bankman-Fried, noto con l’acronimo SBF, è ancora clamorosamente a piede libero, malgrado nei fatti abbia ammesso di avere fatto un uso distorto dei fondi dei clienti. Non si sa neppure dove sia, se alla Bahamas o in Argentina.

Sappiamo solo che all’età di soli 30 anni fosse stato già definito “il nuovo Warren Buffett” per via del suo patrimonio personale di 26 miliardi di dollari.

Come FTX è andata in bancarotta

La bancarotta di FTX getta un’ombra lunga sul funzionamento delle autorità americane. Anche perché parte dell’opinione pubblica crede che la benevolenza degli States verso SBF sia legata al fatto che il ragazzo abbia finanziato pesantemente il Partito Democratico di Joe Biden. Nel biennio 2021-2022, 39,8 milioni di dollari di finanziamenti, secondo solo ai 128 milioni di George Soros. Ed è accertato che SBF sia stato più volte alla Casa Bianca per fare lobbying sui consiglieri del presidente, al fine di ottenere una legislazione favorevole alle criptovalute.

Ma venendo al crac, cos’è successo di preciso? I guai per FTX sarebbero iniziati nei primi mesi di quest’anno. La piattaforma controlla Alameda Research, una società attiva negli investimenti in criptovalute e di proprietà della famiglia di SBF. Aveva preso a prestito molti soldi da investire in capitali a rischio, che i creditori pretesero indietro nella primavera scorsa, intimoriti per il crollo delle criptovalute. Poiché gran parte di quel denaro risultava investito e non poteva essere restituito, SBF pensò bene di attingere ai fondi dei clienti di FTX per ripagare i debiti di Alameda.

Tutto procede senza intoppi fino alla fine di ottobre, quando la stampa americana inizia a paventare un rischio di liquidità a carico di FTX.

Molti investitori chiedono la liquidazione degli asset. Si arriva agli 8 miliardi di dollari di richieste poco prima della dichiarazione di bancarotta. Quei soldi, però, SBF non li possiede. Un paio di settimane prima, era stato negli Emirati Arabi, forse nel disperato tentativo di trovare qualche ente capace di prestargli ulteriore denaro. Lunedì 7, SBF chiede aiuto alla rivale Binance. Il suo CEO, Changpeng Zhao, inizialmente si convince a dare una mano, ma a poche ore dall’annuncio si ritira dopo essere venuto a conoscenza della situazione drammatica di FTX.

Coinvolti 1 milione di clienti

Fatto sta che FTX è stata al centro di una colossale truffa. I clienti investivano in criptovalute, ma il loro denaro era utilizzato per coprire le perdite della controllata Alameda. E SBF non ha neppure idea di quanti siano i creditori. Su Twitter aveva rassicurato che i fondi avrebbero coperto “tutti i clienti americani”. E il resto del mondo? Aveva anche parlato di “100.000 creditori”, ma secondo le stime ammonterebbero ad almeno 1 milione. Ad esempio, 100.000 sarebbero solamente gli italiani truffati.

L’importo della maxi-truffa sarebbe compreso “tra 10 e 50 miliardi di dollari”. Prendendo per buono il dato medio, siamo sui 30 miliardi. Un “buco” gigantesco che rischia di trascinare a fondo altre società come BlockFi. Questa ha ammesso di avere grosse esposizioni a FTX e starebbe valutando di aderire al Chapter 11. Non sembra, invece, che il crac stia impattando più di tanto sulle criptovalute. Bitcoin rimane in area 17.000 dollari, sebbene i problemi scaturirebbero in futuro da una legislazione più stringente sui token dopo l’ennesimo caso di truffa ai danni del mercato.

Gruppo di nerd libero alle Bahamas

SBF viveva e forse vive tutt’ora alle Bahamas in un attico condiviso con una cerchia ristretta di amici.

Una quindicina di persone in tutto, responsabili della gestione di FTX e all’infuori delle quali nessuna informazione rilevante risultava condivisa. Una generazione di nerd che giocava a fare i Warren Buffett della situazione, pur non avendone minimamente la stoffa. Speravano in cuor loro di ingraziarsi la politica a colpi di donazioni, tanto che SBF aveva promesso “fino a 1 miliardo” per i candidati democratici alle elezioni di metà mandato. Va detto che la promessa non è stata mantenuta.

Resta il fatto che il gruppetto di truffatori non sia stato neppure fermato dalle autorità delle Bahamas dopo essere stato interrogato. E il milione di clienti di FTX rischia di restare a bocca asciutta. I fondi per rimborsarli perlopiù non ci sono. E i tempi degli indennizzi saranno lunghi. A proposito, dopo il crac della nipponica Mt Gox del 2014 nessun investitore vide il becco di un quattrino.

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