La Reserve Bank of Zimbabwe ha annunciato dal 15 di giugno fino  al 30 settembre prossimo consentirà ai cittadini dello stato sudafricano di scambiare le banconote rimaste in valuta locale in dollari USA al cambio di un dollaro americano contro 35.000.000.000.000.000 di dollari zimbabwiani  (35 milioni di miliardi o 35 mila quadrilioni). Lo scopo dell’operazione è di ritirare definitivamente la residua valuta locale dalla circolazione. Il paese vive da anni una tragica situazione economica. Il presidente Robert Mugabe, considerato all’estero un dittatore feroce e sanguinario, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio espropriò delle loro terre i proprietari stranieri di pelle bianca, redistribuendole ai coltivatori locali, i quali si trovarono impreparati e non capaci al nuovo compito.

Ne risultò una gravissima carestia alimentare, che ha provocato milioni di morti per fame e una carenza piuttosto diffusa di beni. Propria la scarsità di beni presenti nel paese portò l’economia all’iperinflazione, che nel 2008 venne stimata alla strabiliante percentuale del 500 milioni% o di 7,9 milioni% al mese. Quell’anno, la banca centrale del paese arrivò ad emettere la banconota da 100 mila miliardi di dollari, appena sufficiente per abbonarsi a un autobus per una settimana. In pratica, i prezzi in quella fase raddoppiavano ogni giorno. L’inflazione, a un certo punto, non poté più essere calcolata ufficialmente. Per questo, nel 2009 lo Zimbabwe rinunciò alla sua moneta e iniziò ad adottare alcune valute straniere per i pagamenti interni, dapprima in maniera formale, dopo in via ufficiale. Le prime due valute utilizzate allo scopo sono state il dollaro USA e il rand sudafricano. Quest’ultimo entra nel paese, principalmente grazie alle rimesse degli emigranti in Sudafrica. Nel 2014 sono state aggiunte altre 4 valute al paniere di quelle utilizzabili legalmente: lo yuan cinese, la rupia indiana, lo yen giapponese e il dollaro australiano. In sostanza, lo Zimbabwe adotta attualmente un sistema monetario basato su  6 valute straniere.
L’economia non si è ripresa dalla crisi devastante degli anni scorsi. La disoccupazione è altissima e nel solo 2008 il pil cedette il 18%, mentre l’anno scorso risaliva del 3,2%, ma già quest’anno la crescita è attesa in rallentamento. Il caso dello stato africano sarà anche peculiare e curioso, ma funge da monito per quanti nel resto del mondo vorrebbero rispondere con la monetizzazione della spesa pubblica alla crisi fiscale. L’esempio più allarmante in tal senso è rappresentato oggi dal Venezuela di Nicolas Maduro, che vive anch’esso una drammatica carenza diffusa di beni e un’inflazione stimata ormai intorno al 108%, in assenza di dati ufficiali sin dal dicembre scorso, quando fu calcolata al 68,5% annuo.   APPROFONDISCI – Il Venezuela a rischio iper-inflazione per l’FMI: l’economia già in recessione