Qualche giorno fa è ricorso il 30-esimo anniversario della crisi della lira. Era il 16 settembre del 1992, quando il fondo Quantum del finanziere ungherese George Soros, naturalizzato cittadino statunitense, attaccò sia la lira italiana che la sterlina inglese. La scommessa portò a una perdita di valore di entrambe le valute del 7% in una sola seduta contro il dollaro. Quel giorno, il tasso di cambio tra dollaro e lira italiana salì a 1.219 in chiusura di giornata. Alla fine di agosto, era ancora di 1.078.

Agli inizi del 1994, sarebbe arrivato a 1.710. Nel giro di pochi mesi, la crisi della lira si sarebbe tradotta in una maxi-svalutazione di oltre il 35%. A causa di quell’attacco speculativo, l’Italia dovette abbandonare il Sistema Monetario Europeo (SME), grazie al quale il cambio risultava agganciato alle altre principali valute europee, potendo oscillare del +/- 2,25% ogni anno.

Per fortuna, l’Italia nello SME ci tornò qualche anno più tardi, così da prepararsi all’ingresso nell’euro. Ma servirono diverse finanziarie “lacrime e sangue” a carico dei contribuenti italiani. L’eco di quella crisi della lira, tuttavia, si riverbera ancora oggi sul crollo dell’euro di questi mesi. Le due situazioni non appaiono direttamente paragonabili. La moneta unica ha perso il 18% nell’ultimo anno contro il dollaro, a causa della crisi energetica che affligge l’Eurozona. Per quanto la situazione sia grave, nessuno al momento sta dubitando sulla credibilità dei titoli denominati in euro. Almeno, non di tutti. I bond sovrani italiani barcollano, ma lì l’origine dei guai è la scarsa affidabilità dei conti pubblici nazionali, la stessa che contribuì a provocare, a dire il vero, l’attacco di Soros.

Dalla crisi della lira al crollo dell’euro, tante certezze svanite

Ma nessuno deve sottovalutare i rischi del crollo dell’euro. Se centinaia di milioni di cittadini in tutto il continente hanno compiuto e continuano a compiere sacrifici, perlopiù è per restare ancorati a una moneta considerata affidabile e una protezione nei momenti di crisi.

Pensate a quanti in Italia in questi anni, dalla crisi finanziaria del 2008 alla pandemia, fino ad arrivare alla guerra russo-ucraina in corso, hanno esclamato: “chissà cosa sarebbe successo con la lira!”.

Il problema è che il crollo dell’euro è sotto gli occhi di tutti. Sceso sotto la soglia psicologica di 1 con il dollaro, segnala apertamente affanno. Non possiamo sapere quale sarebbe stata la crisi della lira in un contesto come quello attuale, ma stanno venendo un po’ meno le certezze che l’euro ci ha infuso in questi venti anni. Molti italiani hanno accettato e benedetto l’ingresso nell’euro per non assistere più all’esplosione dei prezzi del carburante alla pompa. Ma se non fosse stato per il taglio delle accise, pagheremmo oggi un litro di benzina più di 2 euro.

E cosa dire dei tedeschi? Avevano il loro amatissimo marco, a cui hanno rinunziato a un patto: che l’euro sarebbe stato un succedaneo a tutti gli effetti. Si ritrovano da anni alle prese con i tassi negativi – o “punitivi”, per dirla alla tedesca -, mentre adesso fronteggiano un’inflazione ai massimi da 40 anni, all’8%. Il crollo dell’euro sta facendo svanire le certezze dei vari popoli che hanno abbandonato le rispettive monete nazionali per ragioni non sempre compatibili tra loro. Dall’apice della crisi della lira, il nostro cambio oggi segna un altro -10% abbondante. Non era così che si pensava sarebbe andata con l’euro.

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