Si parla tanto in questi mesi di tensioni geopolitiche di come l’Occidente stia rischiando di perdere la sua supremazia nelle istituzioni internazionali. Basti pensare a come i BRICS insidino enti come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Segno dei tempi che si evolvono in contrasto con un assetto post-bellico ormai datato. E con la morte di Papa Francesco è possibile che qualcosa di simile lo vedremo tra poche settimane al Conclave. Quando i 135 cardinali votanti entreranno nel Palazzo Apostolico della Santa Sede per eleggere il nuovo Pontefice, i rapporti di forza saranno molto differenti rispetto all’ultima volta in cui ciò avvenne, cioè nel 2013.
Conclave, più forza alle aree periferiche
Anzitutto, cos’è il Conclave e chi ne fa parte? Il termine deriva dal latino “cum clave” (“sotto chiave”) per designare il fatto che i cardinali che ne fatto parte, si riuniscono ad ogni morte di Papa per eleggere il successore in una stanza chiusa a chiave, così da isolarsi dal mondo esterno. Non tutti gli appartenenti a questo organismo hanno diritto di voto. Esso decade per coloro che hanno raggiunto l’80-esimo anno di età.
Attualmente, del Conclave fanno parte 135 cardinali con diritto di voto. L’allora cardinale Jorge Bergoglio venne eletto da un collegio formato da 115 membri. Dunque, rispetto a 12 anni fa il numero dei votanti è aumentato. E ad essere cambiata profondamente è anche la composizione. Papa Francesco ha deciso in tutti questi anni di assegnare maggiore rilevanza alle aree del mondo periferiche rispetto all’Europa, la culla del cattolicesimo. E ciò non si deve solo al fatto che fosse argentino, pur di strette origini italiane, quanto a considerazioni più prettamente di natura geopolitica.
Cardinali occidentali meno forti
Dei 135 cardinali facenti parte dell’attuale Conclave, 107 sono stati nominati da Papa Francesco. Risultano essere 59 di nazionalità europea, 16 nordamericani, 4 centramericani, 17 sudamericani, 20 asiatici e 16 africani. Il “fronte occidentale” dispone teoricamente di 75 cardinali, pari al 55,5% del totale. Si consideri che l’elezione è possibile con i due terzi dei voti. A partire dalla 33-esima o 34-esima votazione, si ha il ballottaggio tra i due candidati più votati nella precedente votazione, ma l’elezione avviene sempre con i due terzi delle preferenze a scrutinio segreto.
In altre parole, i cardinali di Europa + Nord America da soli non avranno la maggioranza qualificata per eleggere il successore di Bergoglio. Non la ebbero neanche nel 2013, quando erano in totale 73 su 115, incidendo per il 63,5% del totale, sfiorando da soli i due terzi. In effetti, il punto di caduta si trovò su un cardinale di provenienza “esterna” al Vecchio Continente per la prima volta nella storia della Chiesa Cattolica. Attenzione, però, a semplificare in maniera eccessiva il ragionamento. Dentro al Conclave non esiste un vero “fronte dell’Occidente”, perché le divisioni esistono tra correnti (conservatrice e progressista), nazioni e aree geografiche. Ad esempio, gli italiani sono storicamente il gruppo più nutrito e forte, tanto da avere eletto quasi ogni Papa da San Pietro in avanti.
Per questo sono molto osteggiati dal resto della stessa Europa, che li vede come potenti e veri “nemici” da abbattere se si vuole sperare di eleggere un cardinale della propria nazione.
Cattolici crescono in Africa e Asia
E sono proprio gli italiani a subire un grosso ridimensionamento, passando da 28 (24%) a 19 (14%). Ad ogni modo, la mutata composizione del Conclave risente della demografia nel mondo. L’Europa è senza dubbio la culla del cristianesimo, ma i suoi fedeli di rito cattolico incidono per appena un quinto dei circa 1,4 miliardi sulla Terra. Nelle Americhe sfiorano il 50% del totale. Un altro 20% si trova in Africa e un 10% abbondante in Asia. L’Africa è il continente dove il numero di cattolici cresce più rapidamente, mentre in Europa è quasi stazionario.
Naturale che i “BRICS” nel Conclave vorranno fare sentire la loro maggiore rappresentatività. Resta il fatto che la Chiesa Cattolica senza Europa non possa esistere. D’altra parte, non può continuare ad accentrare il potere in un continente con un numero di fedeli percentualmente in calo e ridotto a poco più di un quinto rispetto al totale. Da cui la necessità di una convergenza tra gruppi su un nome che possa sintetizzare al meglio le esigenze dell’istituzione millenaria. Chiunque succederà a Papa Francesco, dovrà guardare di più a contesti come Africa e Asia per ragioni di realismo politico. Oltretutto, il numero dei preti crolla in Europa e cresce particolarmente in questi due continenti.
Conclave connesso alla geopolitica
Il Conclave è un organismo di nominati, avulso dalle regole della democrazia a cui siamo abituati a pensare in Occidente quando parliamo di istituzioni di potere. Cionondimeno, da esso è sempre scaturita una visione della storia capace di dominare gli eventi o accompagnarli. Papa Karol Woytila venne eletto nel 1978 all’insegna di un rinnovato fervore conservatore dentro la Chiesa Cattolica. L’anno dopo nel Regno Unito arrivava al governo Margaret Thatcher e due anni più tardi alla Casa Bianca entrava Ronald Reagan. Tutti e tre picconarono il blocco comunista entro la fine degli anni Ottanta.
Con Papa Francesco ci fu qualcosa di simile, ma in direzione progressista.
La sua elezione avvenne pochi mesi dopo la rielezione di Barack Obama negli USA e coincise con un vento liberal nelle cancellerie occidentali, sostenuto probabilmente proprio dalle aperture della Santa Sede su temi quali gay e immigrati. Resta da vedere se il prossimo Papa sarà in continuità con la linea bergogliana o se segnerà una rottura, magari tornando alla tradizione ratzingeriana. Anche dall’esito di questo Conclave capiremo in quale direzione si muoverà il mondo nei prossimi anni.